Fitodepurazione

Descrizione

Fitodepurazione trattamento acque reflue

Categoria/tipologia: affinamento e trattamento reflui civil o assimilabili.
Ambiti d’uso: nuclei isolati, zone rurali.
Popolazione equivalente (PE): da 5 a 30 abitamnti equivalenti.
Riferimenti normativi e garanzie: D.Lvo 152/06, e normative regionali.
Materiali: ghiaia, ciottoli, teli materiale plastico, polietilene, vetroresina, polipropilene.
Metodo semplice e naturale.


La fitodepurazione è un tipo di trattamento di affinamento reflui civili domestici o assimilabili e reflui industriali biodegradabili con inquinanti organici posto a valle di trattamenti secondari come impianti a fanghi attivi, percolatori, ecc. E inoltre utilizzata come trattamento principale, preceduto da pre-trattamenti meccanici, in caso di applicazioni molto semplici.
Il materiale drenante agisce sia come filtro per i solidi sospesi che come supporto per i batteri che attaccano e decompongono la sostanza organica. La vegetazione, attraverso il suo apparato radicale, migliora l’efficienza di questo fenomeno, fornisce ossigeno alle reazioni e contribuisce, tramite l’evapotraspirazione, alla dispersione del volume d’acqua scaricato e a mantenere la permeabilità del terreno.
Oltre al sistema a flusso superficiale, nel quale il livello del refluo è superiore a quello del terreno e la vegetazione utilizzata è anche di tipo galleggiante, ci sono due categorie principali di fitodepurazione :a flusso sub-superficiale orizzontale (HF o horizontal flow) detto anche a flusso sommerso orizzontale e verticale (VF o vertical flow).

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Principi di progettazione

La progettazione di un impianto di fitodepurazione dipende dal tipo di refluo in ingresso e dalla portata.
Per quanto riguarda il flusso orizzontale, l’efficienza di rimozione dipende dalla superficie piana, mentre la sezione trasversale determina la massima portata trattabile.
L’effettiva superficie e profondità richieste dipendono da molti fattori come la permeabilità del terreno, sia in condizioni iniziali, ma soprattutto in fase di esercizio (anche se tendono ad assumere valori comparabili).
Generalmente, è necessaria una superficie che varia da 5 a 10 m2 (*) per abitante equivalente.
Il livello dell’acqua nella filtrazione orizzontale subsuperficiale è mantenuto al disotto della superficie del terreno per assicurare un flusso sommerso ed evitare così problemi di odori o di contatto con il refluo: questo affondamento è variabile (dai 5-15 cm fino anche a 30 cm). Anche la profondità varia a seconda del tipo di vegetazione e della lunghezza dell’apparato radicale: in genere può essere intorno a 60 cm (*).
Un ruolo importante nell’efficienza del trattamento è giocato dalla quantità di ossigeno a disposizione. La fitodepurazione a flusso orizzontale ha un minor trasferimento di ossigeno rispetto a quella a flusso verticale e perciò richiede aree maggiori.
Il processo a flusso verticale si differenzia per la diversa alimentazione del refluo, che avviene mediante sollevamenti meccanici e solitamente intermittente in modo da alternare situazioni di terreno insaturo e saturo instaurando alternativamente condizioni aerobiche o anaerobiche.
Anche in questo caso il dimensionamento dipende da molti fattori; si può però indicativamente considerare mediamente una superficie dai 1 a 3 m2/AE (*): in climi molto caldi può essere sufficiente anche 1,5 m2/AE, mentre in quelli freddi 4 m2/AE.
Proprio per il tipo di reazioni connesse all’alternanza delle condizioni aerobiche e anaerobiche, la fitodepurazione verticale risulta molto più efficace nella rimozione dei nutrienti ed in particolare dell’azoto.
Il fondo deve essere impermeabile (argilla, geotessile, materie plastiche, CA) per evitare la dispersione nel terreno.
Particolare attenzione va posta nella progettazione e realizzazione delle zone di ingresso e di uscita per permettere una uniforme distribuzione del refluo in ingresso, per consentire un buon funzionamento anche a regime (quindi con minore permeabilità) ed eventualmente per aerare la portata in ingresso (piccolo salto) per fornire ossigeno ai processi come la riduzione BOD e la nitrificazione ed evitare cortocircuiti idraulici.
Servono dispositivi per il controllo del livello in uscita come pozzetti o tubi inclinati, meglio se regolabili.
Il materiale di riempimento è preferibile che sia ghiaia arrotondata, meglio se lavata: la parte fine potrebbe limitare la permeabilità e le asperità di materiale frantumato potrebbero causare danni all’impermeabilizzazione. Di conseguenza è preferibile materiale non frantumabile, da evitare i calcari che possono compattarsi, meglio quindi ghiaie di fiume.
I trattamenti primari sono fondamentali per prevenire l’intasamento e garantire un trattamento efficiente. È importante che corpi grossolani, grassi o oli delle cucine e schiume vengano intrappolati a monte.
Il principale parametro di dimensionamento per reflui civili o assimilabili è il concetto di abitante equivalente (AE); normalmente ci si riferisce ad esso con un apporto di 60 g BOD5 al giorno e una portata tra i 150 e 200 litri al giorno.
La popolazione equivalente (spesso abbreviata in PE o p.e.) è utilizzato anche come parametro di conversione per la valutazione dell’apporto inquinante degli scarichi non domestici in rapporto a quelli domestici fissato dalla direttiva CEE (direttiva 91/271 / CEE concernente il trattamento delle acque reflue urbane) a 60 grammi al giorno di BOD5.
La normativa europea definisce la popolazione totale PT) come la somma della popolazione reale e di quella equivalente.
Il progetto deve essere basato su una stima accurata della composizione delle acque reflue la quantità di inquinante organico e il volume giornaliero scaricato; con una più precisa caratterizzazione del refluo è possibile stabilire in modo più corretto quali sono i carichi in ingresso e il rapporto con i nutrienti necessari alle reazioni biologiche, valutando l’opportunità di dosare additivi per permettere le reazioni biologiche.
Il dimensionamento è normalmente condotto in riferimento all’equivalenza in abitanti rispetto al carico organico (BOD5); è importante stabilire con precisione a quali parametri fanno riferimento i prodotti sul mercato; in diversi paesi d’Europa sono utilizzati differneti valori per definirlo.

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Gestione e manutenzione

In generale, gli interventi di manutenzione per la fitodepurazione sono relativamente semplici, e non richiedono mezzi particolari, anche se devono essere continui e periodici.
Durante il periodo di messa in funzione dell’impianto è importante rimuovere le erbe infestanti, che possono limitare la crescita della vegetazione piantumata.
Con il tempo è possibile che la ghiaia presenti fenomeni di ostruzione per i solidi accumulati e per i film batterici creatisi; dopo un lungo periodo di attività (10-15 anni), sarà pertanto necessario intervenire per sostituire il materiale drenante.
Fondamentale è la cura dei trattamenti a monte: lo spurgo regolare dei pre-trattamenti o il corretto funzionamento dei trattamenti secondari a monte è importante per evitare il precoce intasamento del sistema.
È importante, oltre al controllo della vegetazione, che le radici delle piante (specie se di grandi dimensioni) non crescano sui bordi e danneggino il rivestimento o l’impermeabilizzazione.
In caso di instaurarsi di reazioni anaerobiche che portino a cattivi odori, è possibile interrompere temporaneamente il flusso in modo da ripristinare le corrette condizioni.
Per questo motivo è sempre una buona scelta progettuale suddividere in più linee l’impianto.

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Inquadramento normativo

In moti casi esistono normative locali che definiscono i parametri progettuali minimi per la fitodepurazione, oltre a quelle nazionali che definiscono gli standard depurativi richiesti.
Dal punto di vista internazionale esistono alcuni riferimenti come per esempio il manuale EPA (Constructed Wetlands Treatment of Municipal Wastewaters – 1999) che consiglia un approccio alla valutazione della permeabilità e gli accorgimenti tecnici per la realizzazione dell’impianto.
Anche la tennessee valley authority (tva 1993) definisce alcuni parametri utili alla progettazione.
In abito italiano si può fare riferimento, oltre alle norme locali, alla Guida tecnica per la progettazione e gestione dei sistemi di fitodepurazione per il trattamento delle acque reflue urbane (2012) dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale).

(*) – i parametri citati rappresentano valori teorici e indicativi per la progettazione, essi sono sempre da confrontare e adeguare in funzione delle richieste della normativa locale vigente.

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Applicabilità

La fitodepurazione è un trattamento appropriato per reflui civili domestici o assimilabili con inquinante organico biodegradabile che siano almeno pre-trattati (ad esempio fosse settiche, vasche Imhoff e degrassatori) per i quali si vuole ottenere una resa depurativa superiore alla semplice dispersione nel terreno mediante trincea drenante, oppure come affinamento (terziario) di processi secondari per migliorare la qualità dell’effluente con metodi naturali.
Trova una buona applicazione in nuclei isolati laddove non è disponibile un impianto di depurazione centralizzato come zone rurali e esterne ai centri urbani; è quindi possibile trattare il refluo senza creare un sistema di collettamento fognario.
La fitodepurazione è un sistema naturale e non richiede energia elettrica (ad eccezione di piccole pompe nel caso di flusso verticale) e non richiede il dosaggio di sostanze chimiche. Per contro richiede la gestione della zona umida per tutta la vita utile dell’impianto.
Occupando aree per la piantumazione si adatta maggiormente dove c’è disponibilità di terreno e quindi nelle campagne, mentre è più raro nelle zone più urbanizzate, anche in funzione del costo dell’area fabbricabile.
La soluzione si adatta anche a piccoli nuclei abitativi, anche mono o bifamiliari, come trattamento principale.
È una tecnologia adatta a climi caldi, ma può tollerare, se correttamente progettata, qualche picco di basse temperature e periodi di bassa attività biologica.
Tra gli sviluppi delle potenzialità della fitodepurazione si può anche considerare la possibilità di utilizzare il materiale proveniente dalle manutenzioni (sfalci, rami, ecc.) per il compostaggio o la produzione di biogas in reattori anaerobici.
Vantaggi

  • bassi costi di manutenzione (gestione zona umida);
  • utilizzo di materiali semplici (sabbia, ghiaia, terreno);
  • processo naturale;
  • buona riduzione del BOD, solidi sospesi e in alcuni casi patogeni;
  • il refluo non è in superficie (evita problemi di odori e contatto con acque reflue;
  • consumi energetici nulli o estremamente ridotti;
  • bassi costi di esercizio;
  • processo di nitrificazione (flusso verticale);
  • impatto ambientale minimo;
  • impatto paesaggistico minimo.

Svantaggi

  • impiego di aree;
  • scarsa rimozione dei nutrienti;
  • richiede sistemi efficaci e ben dimensionati;
  • richiede trattamento a monte;
  • manutenzione poco onerosa ma frequente;
  • elevato tempo di messa in funzione dell’impianto;
  • precisione nella posa del materiale;
  • non applicabile per climi moto freddi.

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