Defosfatazione

Descrizione

Rimozione del fosforo in impianti di depurazione

Categoria/tipologia: trattamento acque reflue industriali o affinamento.
Ambiti d’uso: medi e grandi impianti di trattamento reflui.
Volume: 3 mc a 40 mc.
Riferimenti normativi e garanzie: D.Lvo 152/06, normative regionali.
Materiali: calcestruzzo, polietilene, polipropilene, vetroresina.


La rimozione del fosforo (defosfatazione) è in minima parte operata dalle reazioni biologiche dei normali impianti a fanghi attivi. Esso infatti, insieme all’azoto, viene definito nutriente: queste sostanze sono fondamentali per la sintesi cellulare, che di conseguenza ne riduce la concentrazione. L’apporto medio di un abitante equivalente è attualmente considerato pari a 1,8 g P/AE al giorno. La rimozione attraverso i fanghi di supero però ha rendimenti che non superano 1% del BOD rimosso e si riduce tanto più è basso il carico organico dei reattori. Negli impianti ad aerazione prolungata gli effetti della respirazione endogena sono massimi e per questo si ha la liberazione del fosforo assimilato dalle cellule a causa della loro rottura (lisi indotta).
Complessivamente, si va da un rendimento normalmente del 10% fino ad un massimo del 30% per impianti ad alto carico.
Talvolta le concentrazioni in uscita sono accettabili anche se, per avere una rimozione più spinta, è necessario provvedere ad una rimozione per via chimica o biologica o addirittura una combinazione delle due.
La reazione chimica prevede il dosaggio di sali metallici più comunemente di alluminio e ferro, che provocano la precipitazione del fosforo.
I reagenti più diffusi sono il solfato di alluminio, il cloruro ferrico e il policloruro di alluminio; in alternativa è utilizzata anche la calce.
Queste reazioni comportano la precipitazione o la flocculazione dei fosfati; lo sviluppo di reazioni concomitanti (secondario) provoca però un reale consumo di reagenti anche fino a 1,5-2 volte rispetto ai valori stechiometrici.
I processi di rimozione biologica, che si sono diffusi ampiamente soprattutto in tempi recenti, sono legati ad impianti a fanghi attivi: il trattamento consiste nel sottoporre i fanghi di ricircolo e il refluo in ingresso a condizioni prima strettamente anaerobiche e poi aerobiche in modo da provocare un accumulo notevole da parte di alcuni tipi di batteri detti PAO (Phosphorus Accumulating Organism).
La rimozione biologica del fosforo fa parte dei processi definiti con l’acronimo BNR (biological nutrient removal).

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Principi di progettazione

Per la stima dell’apporto di fosforo, in assenza di una campagna di analisi dirette, è importante considerare che spesso, per estensione del concetto di abitante equivalente, si rischia di sovrastimare le concentrazioni in ingresso.
Il dosaggio dei sali può essere previsto in diverse fasi del trattamento: pre-precipitazione, co-precipitazione e post precipitazione: esse presentano diversi vantaggi e svantaggi, tanto che è possibile, in una configurazione completa del trattamento, inserire la precipitazione in diversi passaggi.
La pre-precipitazione viene realizzata nel comparto di sedimentazione primaria, ma provoca un consumo notevole di reagenti (reazioni competitive) ed è rilevante il rischio di carenze di fosforo nella fase biologica successiva, dove è necessario per la sintesi cellulare; i livello finali di rimozione sono modesti per la presenza di forme diverse dall’ortofosfato (le reazioni di idrolisi si verificano nelle fasi successive).
La fase di co-precipitazione ha il vantaggio di non richiedere un comparto specifico e può essere impiegata per il potenziamento di impianti esistenti (anche per la rimozione di altre sostanze); la presenza però di microfiocchi ricchi di fosforo e di difficile sedimentabilità richiede spesso il dosaggio di un polielettrolita prima della fase di sedimentazione secondaria.
Il fango chimico è indivisibile da quello biologico e permane nel sistema per un tempo pari all’età del fango (SRT). Questo provoca, a parità di solidi sospesi, perdite nelle potenzialità biologiche dell’impianto.
La post precipitazione richiede la realizzazione di una fase specifica con relativa separazione (sedimentazione o filtrazione terziaria). Particolarmente adatta per standar depurativi molto spinti (concentrazioni finali fino a 0,2 – 0,5 mg P/l) e ben integrata in sistemi dove è previsto il riutilizzo delle acque nere dove spesso una filtrazione è necessaria.
I fanghi chimici sono quindi separati da quelli biologici e possono seguire una specifica linea di trattamento ed essendo molto stabili possono essere inviati direttamente alla disidratazione.
Per quanto riguarda la rimozione biologica, il principio è quello di utilizzare una popolazione di batteri eterotrofi aerobici obbligati fosforo cumulanti (PAO o PAOs), poco presenti nel refluo in condizioni aerobiche il cui sviluppo viene agevolato da alternanza di fasi anaerobiche ed aerobiche le cui logiche sono abbastanza complesse, poiché in realtà vengono anche coinvolti batteri P-cumulanti che possono sfruttare, oltre che l’ossigeno libero, anche i nitrati operando come batteri denitrificanti.
Il tempo di residenza cellulare o età del fango per lo sviluppo delle popolazioni P-cumulanti è al massimo pari a 3 giorni; tale valore è inferiore a quanto richiesto per il trattamento dell’inquinamento organico e in particolare se si prevede il controllo dell’azoto (con fase di nitrificazione).
Gli schemi di processo di rimozione del fosforo sono spesso legati anche a fasi di nitrificazione e denitrificazione per il controllo dell’azoto; esistono diverse configurazioni alcune con brevetti che differiscono nei particolari delle diverse fasi: ci sono due tipologie fondamentali differenziate da come viene allontanato il fosforo dal sistema detti processi in linea (mainstream) o in parallelo (sidestream).
Un buon risultato, in termini di economicità, prestazioni ed affidabilità può essere raggiunto con l’impiego integrato di processi chimici e biologici.

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Gestione e manutenzione

La precipitazione chimica dei fosfati implica di norma una considerevole produzione di fanghi da aggiungere a quelli di supero dei comparti biologici. Essa dipende fortemente dai reagenti, dal loro dosaggio e dalle caratteristiche del refluo in ingresso. Esistono dei dati di letteratura, ma è spesso importante procedere con una verifica sperimentale.
Particolare di non poco conto è che il quantitativo dei fanghi cambia sensibilmente a seconda di dove viene realizzato il dosaggio: la presenza di reazioni secondarie migliora anche l’efficienza dei diversi comparti (sedimentazione primaria o trattamento biologico), ma produce ne frattempo maggiori quantitativi di fanghi e comporta un maggiore dosaggio di reagenti.
La post precipitazione invece ha il vantaggio di operare su un refluo già trattato biologicamente dando inoltre la possibilità di separare i fanghi biologici da quelli chimici per uno specifico processo di stabilizzazione.
Nelle fasi di trattamento per la defosfatazione biologica è necessario evitare accuratamente l’instaurarsi di condizioni che provochino la cessione del fosforo dalla biomassa provocata da condizioni anaerobiche, per evitare il rilascio nei reflui o nel surnatante del fosforo accumulato.

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Inquadramento normativo

Il controllo e la rimozione del fosforo sono diventati spesso un’esigenza per l’incremento di corpi recettori ritenuti suscettibili di eutrofizzazione dalla legislazione. Tali richieste sono diffuse su tutto il territorio europeo. In Italia, per esempio, si fa riferimento a tutta la pianura padana, il Veneto, il fiume Adige il Friuli Venezia Giulia e la Romagna.
Concentrazioni tipicamente richieste per la pubblica fognatura sono tra 1 e 2 mg/l che possono arrivare anche 0,5 mg/l per situazioni di criticità o per produzioni singole di reflui industriali o zootecnici.

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Applicabilità

Gli apporti più significativi di fosforo, grazie alla notevole riduzione dell’uso del fosforo nei prodotti per la detergenza, è rilevabile in larga misura nel settore zootecnico e in alcuni settori industriali per l’impiego di polifosfati come inibitori della corrosione o anti incrostazione. Molto spesso, poiché in media il contributo industriale non è rilevante nei grandi impianti, è necessaria una valutazione diretta.
I normali trattamenti biologici combinati con i pre-trattamenti hanno rendimenti di rimozione complessivi che variano dal 10 al 30%.
Per quanto riguarda i piccoli impianti, è più raro l’utilizzo di metodi biologici per problemi di affidabilità legati al processo. L’elevata fluttuazione degli scarichi (se non è presente un comparto di equalizzazione ed omogeneizzazione) può provocare al liberazione del fosforo accumulato, così come i carichi molto bassi (tipici dell’aerazione prolungata) e l’ossigenazione del refluo in ingresso, frequente in reti molto piccole, possono inibire i processi biologici di rimozione del fosforo.
Per contro la rimozione per via chimica è si più costante e meno suscettibile alle fluttuazioni, ma comporta spese superiori per i reagenti e una considerevole produzione di fanghi di supero.
L’integrazione dei due processi unisce l’economicità del trattamento biologico all’affidabilità del trattamento chimico, che interviene in caso di problemi sul primo.
Se ne deduce che diventa fondamentale un sistema di monitoraggio, controllo e automatizzazione efficace dei sistemi di trattamento.
Vantaggi

  • elevata qualità del refluo in uscita;
  • riduzione del fenomeno di eutrofizzazione;
  • scarico in zone sensibili.

Svantaggi

  • dosaggio dei reagenti;
  • elevato consumo di reagenti;
  • alta produzione di fanghi (rimozione chimica);
  • processo biologico molto delicato;
  • necessità di controllo da parte di operatori.

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