Impianti di depurazione per caseifici
Ambito
Il trattamento delle acque di lavorazione delle industrie che utilizzano il latte come materia prima come un caseificio o una centrale del latte, rappresentano un problema di non facile soluzione.
Nella quasi totalità dei casi richiedo un trattamento mirato e specifico a meno che non siano diluiti con grandi volumi di scarichi domestici.
Principali inquinanti
I reflui della lavorazione del latte sono simili a quelli domestici in termini di contenuto di sostanze organiche azotate, ma differiscono in genere per la concentrazion e la putrescibilità.
Principali parametri che caratterizzano i reflui caseari sono:
- BOD: 800 – 2300 mg/l
- COD: 1700 – 3400 mg/l
- N tot: 31 – 53 mg/l
- N ammon.: 6,7 – 8,4 mg/l
- N nitrico: 8,8 – 35 mg/l
- P tot.: 12,7 – 18,5 mg/l
- solidi sospesi 525-550 mg/l
- pH: 5,3 -7,8
Schema
A monte dell’impianto è solitamente prevista una sedimentazione primaria.
Filtri in plastica sono stati impiegati con buoni risultati come pre-trattamenti (fino anche a rendimenti di rimozione del BOD pari a 60%), per i quali è opportuno non superare un carico organico di 2,3 kg BOD/m3 al giorno per evitare intasamenti.
La filtrazione biologica (doppia alternata) è considerata il miglior metodo per ottenere buoni effluenti (circa 20 mg/l BOD e 30 mg/l di solidi sospesi).
Solitamente si opera con un carico idraulico di 0,04 m3/m3 per ora ed un carico organico tra 0,19 e 0,28 kg BOD/m3 al giorno. Per ottenere buoni risultati si può ricircolare l’effluente finale da miscelare al refluo pre-trattato, in modo da avere un BOD in ingresso attorno a 200-300 mg/l.
L’utilizzo dei fanghi attivi in questo campo risulta tecnicamente meno idoneo rispetto alla filtrazione biologica perché meno adattabile ad elevati carichi di BOD con problematiche legate all’insorgere del fenomeno del bulking (rigonfiamento dei fanghi). Con una attenta gestione e l’inoculo di ceppi di microrganismi selezionati e correttamente dosati questo fenomeno si può evitare ottenendo così buoni risultati.
Il dimensionamento va effettuato rispetto ai reflui domestici assimilabili considerando diversi parametri di assorbimento dell’ossigeno per il processo a fanghi attivi e per la respirazione endogena valori molto superiori.
Impianti a fanghi attivi (ad ossidazione totale) ben gestiti posso comunque arrivare a rendimenti fino al 96% o addirittura del 99% per la rimozione del BOD e 98% per i solidi sospesi.
Particolare attenzione va posta sulla scelta dei diffusori di aria: i diffusori a piatti porosi presentano maggiori problematiche in di occlusione rispetto a diffusori a getto, a turbina o meccanici.
La combinazione di filtri percolatori e comparto a fanghi attivi può portare a buoni risultati sia in termini depurativi che in termini di resistenza alle fluttuazioni di carico.
Il rigonfiamento dei fanghi può portare a indici di volume (SVI) da 120 fino a 400. Una leggera clorazione dei fanghi consente l’attenuazione di tale fenomeno: in particolare dosando policloruro di alluminio e un polielettrolita.
Fosse di ossidazione trovano applicazione soltanto per piccoli impianti e ridotti quantitativi di BOD.
Altre tipologie di impianti possibili sono gli stagni ossidativi che, oltre a richiedere alimentazione di ossigeno aggiuntive rispetto allo scambio gassoso con l’atmosfera, presentano alcune problematiche legate agli odori.
I processi di digestione anaerobica possono portare a buoni risultati ma devono essere seguiti da una fase di aerazione finale per ovviare al pro problema degli odori sgradevoli.
In alternativa processi di filtrazione aerobia presentano il vantaggio di un minore tempo di ritenzione rispetto ai digestore anaerobico (2-4 ore invece di 6 giorni), ma presentano per contro il problema di odori solfidrici, i periodici controlavaggi, un lungo periodo di avviamento e le problematiche legate all’intasamento provocato dalle sostanze solide sospese.
Il processo aerobico è più adatto a impianti di piccole potenzialità, mentre quello anaerobico è più adatto a sistemi di maggiori dimensioni offrendo anche la possibilità di miglioramento dell’efficienza energetica con il recupero del biogas prodotto.
Processi di coagulazione con dosaggio di reagenti alternati a fasi di sedimentazione e areazione possono migliorare l’efficienza degli scarichi. Coagulanti come solfato di alluminio, calce, cloruro ferrico sono richiesti in dosi elevate per ottenere buoni risultati.
Ulteriori processi di affinamento possono essere l’ adsorbimento (filtrazione su carboni attivi) o l’osmosi inversa (o ultrafiltrazione).
Note
A seconda dei cicli lavorativi la qualità dell’effluente finale è estremamente variabile a seconda delle diverse fabbriche casearie ed anche piccole modifiche apparentemente insignificanti possono portare a significativi risparmi idrici su tutto l’arco dell’anno. Risparmi idrici, viste le notevoli concentrazioni in gioco significa una rilevante riduzione del BOD scaricato.
Il reimpiego dei reflui come fertilizzanti per l’agricoltura è tecnicamente possibile (da valutare la conformità con le normative locali). L’effluente infatti ha un notevole potere fertilizzante anche se si riscontrano forti controindicazioni legate all presenza di elevata sodio nei liquami. Esso infatti potrebbe provocare la disintegrazione: in caso di terreni argillosi non è opportuno non superare la concentrazione 100 mg/l di sodio.