Impianti di depurazione per concerie
Ambito
Le acque di conceria sono uno tra i casi più complessi di trattamento e smaltimento di effluenti industriali.
Le materie prime provengono da sostanze organiche analogamente alle industrie alimentari; ciò che differenzia questo settore sono l’impiego di lavorazioni che utilizzano processi chimici tramite reagenti organici e inorganici.
L’effluente richiede quindi grandi quantità di ossigeno per ossidare le sostanze organiche ma contiene in aggiunta i reagenti chimici che possono essere tossici o nocivi.
Ne consegue la necessità di impianti mirati per il trattamento dei reflui prima del conferimento nei recettori ma anche nella rete fognaria.
Le concerie si differenziano principalmente per il tipo di metodo adottato che può essere vegetale o al cromo.
Le principali lavorazioni si possono riassumere come segue: rinverdimento, calcinazione, decalcinazione, piclaggio (pickel), concia, ingrasso e tintura, lavaggi.
Principali inquinanti
La composizione del refluo di conceria dipende dal tipo di processo utilizzato: vegetale o al cromo.
L’effluente è composto dagli scarichi delle diverse lavorazioni: operazioni di botte o lavaggio delle macchine.
Per valutare il carico inquinante normalmente si prendono in considerazioni diversi parametri: COD, solfati, cloruri, cromo, azoto ammoniacale e solfuri.
In particolare le acque di calcinazione contengono sostane organiche, calce e solfuro sodico e rappresentano la maggior componente inquinante in entrambi i metodi di lavorazione.
Il COD può arrivare fino a 10000 mg/l ma può essere ridotto, a seconda dei trattamenti, fino al 90%.
La depurazione dei reflui nel caso di processo vegetale presentano alti valori di BOD e quindi una altissima domanda di ossigeno, per contro gli altri presentano un’alta concentrazione di cromo trivalente.
Il consumo di acqua varia in media da 40 a 90 litri ogni quintale di pelle fresca lavorata di cui parte (anche fino a metà) viene persa per evaporazione.
Nelle acque reflue dei primi trattamenti si ritrovano inoltre i sali (cloruro) utilizzati anche per la conservazione delle pelli per bloccare i fenomeni putrefattivi durante il trasporto del materiale tra la zona di produzione (macelli) e la zona di lavorazione
Le acque delle diverse fasi presentano pH molto variabile: da molto alcalino a molto acido con valori che vanno da 3-4 a 11-13 a seconda dei casi.
Anche la gestione dei rifiuti prodotti rappresenta attualmente un serio problema di non facile soluzione per l’industria conciaria.
Schema
Le acque di scarico delle concerie sono uno dei più difficili casi di trattamento e smaltimento di effluenti industriali.
Non presentano un elevata biodegradabilità e teoricamente sarebbe opportuno un alto rapporto di miscelazione con reflui domestici previo trattamento di rimozione del cromo, dei solfuri e la correzione del pH entro i limiti di accettabilità in fognatura.
Spesso non è possibile miscelare i reflui, pertanto risulta necessario procedere ad una depurazione mirata.
Un processo noto come autochiarificazione permette, attraverso una serie di sedimentazioni, la riduzione dei solidi sospesi, di quelli disciolti e del BOD.
Gli scarichi acidi e alcalini sono raccolti separatamente e subiscono una serie di processi meccanici per poi essere miscelati: le acque acide fungono così da reagente neutralizzante e coagulante delle acque alcaline.
Il pH che ne risulta è ancora abbastanza alcalino e richiede la correzione mediante una quantità moderata di reagenti.
Oltre al conferimento in pubblica fognatura, concesso in alcuni casi, a seguito del processo di autochiarificazione il trattamento più adatto è quello biologico a fanghi attivi. Poiché alcune sostanze come i tensioattivi non ionici del tipo polietossilato non sono efficacemente degradati da dai normali batteri aerobi, in alcuni casi sono stati selezionati alcuni ceppi specifici detti attinomiceti.
In alcuni casi si può applicare anche la filtrazione biologica: l’impiego di filtri percolatori però posso presentare problemi di incrostazioni calcare e risulterebbe necessario fare precipitare il carbonato di calcio prima della filtrazione.
Un metodo più costoso ma sicuramente molto è efficace è il trattamento chimico-fisico: la clorazione permette di rimuovere i solfuri.
Oltre ai costi di installazione è necessario valutare l’impiego di reagenti per tutta la vita utile dell’impianto: per esempio si consideri che il consumo si può stimare da 2 a 8 parti di cloro (Cl) per ogni parte di idrogeno solforato (H2S).
La coagulazione mediante solfato ferroso è sconsigliabile perché forma sostanze colloidali di difficile separazione e disidratazione.
Un esempio di trattamento chimico fisico con separazione di quattro linee di scarico: operazioni di preconcia, concia al cromo, ingrasso, tintura e lavaggio.
Per la prima e la seconda linea si prevede un bilanciamento, un bacino di miscelazione con i reagenti e un bacino finale di sedimentazione.
Nella prima linea i fanghi di solfuro e idrato ferrico sono essiccati mediante un filtro a vuoto; nella seconda l’idrossido di cromo viene disidratato in centrifuga.
Le acque di ingrasso necessitano di un bacino di sgrassaggio e flottazione.
Le acque vengono poi miscelate e raccolte nella vasca di compensazione a valle per essere scaricate in pubblica fognatura.
In alcuni casi trova applicazione l’osmosi inversa nelle fasi di calcinazione-depilazione, decalcificazione-macerazione, sgrassaggio (cromo o vegetale) con la possibilità del riutilizzo del concentrato.
Note
La razionalizzazione di attività artigianale e il recupero delle acque dovrebbe portare ad una riduzione delle acque da trattare attenuando il problema degli scarichi da conceria. Le sostanze rimosse spesso possono rientrare ne ciclo produttivo, per esempio il cromo nelle operazioni di concia. Tale accorgimento permette un risparmio in termini di reagenti utilizzati per le lavorazioni che giustifica l’investimento per sistemi di trattamento avanzati.